Sul caso del collega Stefano Giordano, ho preso carta e penna e scritto al Presidente dell’Ordine di Trento. Buona lettura!
Egregio presidente,
sono l’avvocato Francesco Leone, presidente dell’Associazione dei Giuristi Siciliani, mi permetto di disturbarla per esprimere tutto il mio disappunto sulla posizione che ella ha assunto sull’imbarazzante caso che ha coinvolto un avvocato palermitano, Stefano Giordano, e il giudice del Tribunale di Trento Carlo Ancona.
Ritengo infatti che la frase pronunciata da quest’ultimo, durante un’udienza, ai danni del legale siciliano, – “Avvocato, lei taccia, perché qua siamo in un posto civile, non siamo a Palermo” – avrebbe meritato da parte sua una presa di posizione meno ambigua e più netta.
Ed infatti, dinnanzi ad una frase così grave, ella si è limitato ad affermare che “Quanto accaduto, per come appreso, è un episodio infelice che, ritengo, possa essere stato l’esito di tensioni quali quelle che a volte le udienze penali possono generare; interessa un magistrato del quale, peraltro, il Foro ha sempre riconosciuto la grande preparazione e la dedizione al lavoro”.
In altre parole, ha derubricato a “episodio infelice” e giustificabile le gravi parole che un giudice, per sua definizione terzo e imparziale, ha indirizzato ad una delle parti in causa.
La cosa più grave è che la frase “infelice” aveva non solo un contenuto processualmente discriminatorio ma, addirittura, razziale.
A quanto pare, infatti, per il dott Ancona il Palazzo di Giustizia palermitano sarebbe un luogo incivile frequentato da giudici e avvocati incivili. Una sorta d’arena dove non vigerebbe la giurisdizione ma, in ossequio ad una figura stereotipata della Sicilia, forse la legge della lupara.
Eppure – ed evidentemente non lo si ricorda mai abbastanza – in quella “arena” sono scese le più importanti figure che la storia giudiziaria del nostro Paese ricordi. Personalità delle quali anche lei, nonostante la differente latitudine, dovrebbe andar fiero.
Ad esempio giudici come Falcone, Borsellino e Chinnici che hanno lasciato sull’asfalto le loro vite per rendere non solo la Sicilia, ma tutta l’Italia, una terra più civile. O, ancora, l’avvocato Fragalà ucciso a sprangate perché reo di far collaborare con la giustizia i propri clienti. Ed ancora i tanti colleghi che, nonostante un ambiente di lavoro poco “asburgico”, difendono con decoro e competenza i diritti dei propri assistiti.
Ecco Presidente, questi sono gli esempi che ogni avvocato palermitano porta orgogliosamente con sé quando entra in un’aula di Tribunale, quale che sia la sua ubicazione territoriale.
Per queste ragioni la invito a voler rivedere le sue affermazioni in ordine alle parole pronunciate dal dott Ancona e, se è possibile, dimostrare solidarietà al collega Giordano reo esclusivamente di essere un avvocato palermitano.
Palermo, 26.09.2017
Avv Francesco Leone