Blocco degli stipendi. La Consulta dichiara illegittime le norme ma salva i conti dello Stato.

I mesi appena trascorsi hanno messo a dura prova i conti dello Stato e, probabilmente, condizionato le future e imminenti scelte economiche del Governo.

A brevissima distanza dalla sentenza n. 70/2015, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 24, comma 25, del d.l. 201/2011 che arrestava la rivalutazione delle pensioni per gli anni 2012 e 2013, infatti, la Consulta il 23.06.2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle norme che, per mettere in sicurezza i conti pubblici, avevano disposto il blocco dei contratti del pubblico impiego impedendone ogni aumento.

Blocco partito nel lontano 2010, con l’ultimo governo Berlusconi (d.l. 78/10), e reiterato senza soluzione di continuità dai governi Monti, Letta e Renzi.

Anche se un’attenta analisi giuridica della decisione del 23 giugno u.s. potrà farsi solo dopo la pubblicazione della sentenza e solo dopo aver conosciuto le motivazioni poste a base della dichiarazione d’illegittimità, il comunicato ufficiale della Consulta, sin d’ora, ci consente di fare alcune importanti riflessioni sugli effetti della sentenza e sui possibili futuri scenari.

La Corte Costituzionale, in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate […], ha dichiarato, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, quale risultante dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato. […]”

Quest’ultima pronuncia che definisce illegittimo il blocco dei contratti della p.a., invero, sembra avere un impatto meno pesante di quella di fine aprile.

Diversamente da ciò che è avvenuto con la sentenza sul blocco delle pensioni, infatti, già con questo comunicato si è inteso evidenziare come gli effetti di questa declaratoria di illegittimità decorreranno soltanto a partire dalla pubblicazione della sentenza.

In altri termini, è come se la Consulta avesse sancito l’illegittimità del blocco dei contratti e degli stipendi, ma non per il passato.

Con questa decisione, probabilmente, la Corte Costituzionale questa volta ha voluto impedire che i pubblici impiegati che negli ultimi anni hanno subito il blocco dei loro stipendi, potessero richiedere il rimborso degli arretrati.

Se la Consulta avesse esteso gli effetti della sentenza a tutto il periodo tra il 2010 e il 2015, di certo, il sistema dei conti pubblici dei prossimi mesi sarebbe entrato in profonda crisi.

Secondo la memoria depositata dell’Avvocatura dello Stato, infatti, sulla base dei conti della Ragioneria lo Stato avrebbe dovuto trovare una copertura di 35 miliardi per gli arretrati e altri 13 miliardi per il 2016.

Costi che, peraltro, si sarebbero aggiunti agli effetti della sentenza sul blocco delle pensioni avente valore retroattivo.

La sentenza del 23.06.2015, in definitiva, sembra sia stata accolta con soddisfazione da entrambe le parti in causa: da un lato il Governo ha evitato un altro ingente rimborso, dall’altro i sindacati dei lavoratori statali hanno ottenuto lo sblocco dei contratti pubblici.

In sostanza, evitata la batosta sui conti, il Governo al più presto dovrà sedersi al tavolo delle trattative per trovare nuovi accordi sui contratti pubblici.

Negli ultimi giorni, peraltro, il Ministro competente ha già confermato che nei prossimi mesi saranno avviati gli incontri con i sindacati per discutere dei rinnovi contrattuali.

In ultimo, e in attesa di conoscere le motivazioni in punto di diritto con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle norme impugnate “con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza”, appare abbastanza chiaro che un “motivo” possa certamente essere rintracciato nel pressing che la componente politica ha effettuato sui Giudici della Consulta.

La stessa Avvocatura dello Stato, infatti, durante le proprie difese, oltre a evidenziare i danni che avrebbe causato un’eventuale condanna a risarcire tutti gli statali per gli anni di blocco, ha ricordato come anche la Consulta nella sua decisione avrebbe dovuto tenere in debita considerazione il principio costituzionale che prevede l’obbligo del pareggio di bilancio.

Avv. Pietro Salvino